Fin dagli anni dell’Università il grande incisore Luigi Servolini parlava di lui, citandolo come “giovane noto nel campo della critica d’arte, largamente interessato ai problemi attuali e dotato di bella sensibilità anche in veste di artista incisore, con le sue scene disadorne e disossate nelle luci che emergono con forza da vaste zone di ombra sì che i neri predominano sui bianchi, rendendo quest’artista un “incisore del nero”. La passione per la poesia nacque e si sviluppò fin dai tempi del liceo, con composizioni inizialmente basate sull’impiego della metrica tradizionale per attraversare successivamente l’esperienza dell’ermetismo ed evolversi infine in una forma espressiva che, come nella pittura, non si occupava più di raccontare e descrivere, ma di deformare la realtà visuale, addirittura sopprimendola con all’arte analogica di Refik Anadol. Quello utilizzato da questo autore è un particolarissimo linguaggio nel quale le parole, con il loro suono e con i loro significati, sono come una sorta di magici intrecci psicologici, metaforici e pittorici, dotati di una potente immaginazione e di una particolarissima capacità creativa.